Civiltà Nuragica

La civiltà nuragica nella sua origine e nel suo sviluppo è avvolta nel mistero e nel mito, ma tante sono le tracce che fra il XVI e il V sec a.C. ha lasciato sull’isola, tanto più che essa non scomparve con l’arrivo dei popoli conquistatori bensì sopravvisse, integrandosi alla loro cultura e rielaborando la propria.

E’ certo che i nuragici erano in grado di lavorare il ferro e il rame, come è testimoniato dai manufatti artigianali che produssero per gli usi quotidiani (utensili, monili, armi) e per scopi religiosi, come i bronzetti, statuine “ex voto” raffiguranti personaggi, animali o navicelle. Ma soprattutto erano in grado di realizzare con tecniche “ciclopiche” i nuraghi, grandiose costruzioni di pietra alte fino a 22 metri, che sono diventati il monumento simbolo della Sardegna.

I nuraghi furono costruiti utilizzando enormi blocchi di pietra sovrapposti senza l’utilizzo di alcun legante. La radice “nur” della parola nuraghe potrebbe significare appunto “mucchio”, tanto che nel dialetto nuorese il termine “nurra” significa ammasso. Si realizzarono così strutture a “corridoio” o più complesse, con i massi disposti in cerchi concentrici via via più stretti secondo una struttura a tronco di cono, che originava all’interno una camera a falsa volta o a “tholos”. Inoltre spesso queste strutture architettoniche si articolavano in più torri tra loro comunicanti, fino a costituire delle vere e proprie fortezze a pianta triangolare (come nel nuraghe di Santu Antine) o pentagonale (come nella reggia nuragica di Barumini), circondate da cinte murarie e da villaggi di capanne. Ma anche su questi monumenti la storia e il mito si confondono. Fortezze inespugnabili, templi, luoghi di vita e di abitazione: da anni si fanno ardite ipotesi sulla loro funzione e il loro significato. La leggenda attribuisce addirittura a Dedalo, l’ideatore del labirinto, la concezione della struttura dei nuraghi. L’unica cosa certa è che i nuraghi furono eretti ovunque: sui punti elevati, presso i fiumi, allo sbocco di valli, lungo gli antichi sentieri, ma anche sulla costa, o in pianura e sono tanto numerosi (se ne contano circa 7000) da fare dell’isola uno dei più grandi musei archeologici all’aperto del mondo.